4 DICEMBRE 1865: Nasce il porto che porrà a suggello lo sviluppo commerciale del Paese e di qui a poco metterà nel rango delle più ricche industriose e cospicue città italiane!

RELAZIONE fatta dal Sindaco di Pizzoal Ministero ed alla Prefettura in occasione della inaugurazione del PORTO DI SANTA VENERE

 "Siccome ho ed era manifestato con telegramma, diretto al Ministero dell’Interno, all’altro dei Lavori Pubblici, alla Prefettura, al Genio Civile ed all’Impresa, oggi si sono inaugurati e festeggiati i lavori del porto di S. Venere, una delle opere più splendide della civiltà contemporanea. Avantieri ne ebbi la prevenzione e l’invito del Genio Civile, e dalla benemerita Impresa Fiocca; ed immediatamente pubblicai un programma, preceduto da poche e calde parole, programma il quale il paese ha risposto condegnamente.
Tutte le campane delle chiese, ripetute salve di grossi mortaretti, e la banda civica, di buon ora diedero il segnale della festa. Ed il popolo desto incominciò allora a correre per le strade festante, manifestando nei volti, negli atti, nelle parole la gioia improvvisa nel cuore, la speranza di migliore avvenire, di più lieta e dignitosa esistenza. 
All’apparire del giorno la città comparve da un punto all’altro imbandierata. Non vi fu persona che non partecipò più o meno al generale tripudio. Non vi fu madre che non sia stata schiava della spoglia più festiva vestire i suoi nati. Le vie, le case brulicavano di popolo immendo; e qua e là vedevi quegli strumenti campestri e villici, che sogliono di ordinario far liste le popolari brigate.
Alle 9 a. m. molte barche appositamente apparecchiate e elegantemente pavesate accolsero in quella marina il clero, il Segretario Capo della Sotto Prefettura, i Municipi di Pizzo e Monteleone, le autorità civili e Militari del luogo, la Guardia Nazionale, la banda e tutte le forze di terra e di mare, e le condussero al cantiere. Molti battelli e gondole le seguirono, e molte le raggiunsero dopo.
Si trovò quivi apparecchiato recentissimo altare donde il Parroco, assistito dal Clero anzidetto, impartì alla divina opera, la benedizione. 
Si sono compiuti poscia generici atti di beneficienza. Fra gli altri si sono sorteggiati quattro orfanaggi di L. 50 ciascuno in favore di donzelle povere del Comune, orfane di padre e dall’età da 15 a 30 anni. Il denaro all’uopo, in L. 200, è  stato fornito dal benemerito ed egregio nostro concittadino Signor Elvino DRAGONETTI, Ingegnere del Genio Civile, che con tanta lode dirige i lavori del porto. Lo stesso signor  DRAGONETTI lesse quindi un discorso elegantissimo, ed altro non meno elegante venne letto dal Dottore Giorgio PROCOPIO.

In queste memento spinte, frenetiche dimostrazioni di gioia, e d’inqualificabile esultanza. Confetture e fieri a profusione. Fragorosi applausi all’Italia e al Re. Scarichi di fuochi di gioia. Salve di grossi mortaretti. Spari di cannoni di tutti i legni, ai quali rispondevano quelli ancorati nella Marina e tirati a secco. Tutte le campane delle chiese a eterno. Dopo questa commoventissima funzione religiosa, alla quale consistette un immenso numero di persone del paese e fuori, e fra questi i più notabili della città; il clero, i funzionari pubblici e tutti gli intervenuti percorsero processualmente l’intero cantiere, spesando al suono della banda Salmodie ed inni devoti.
Questo luogo per l’innanzi romito, muto, deserto e ora amorevole pel suo stupendo e magnifico ponte a mare, per l’immenso materiale già estratto, e che man mano dovrà essere sommerso, per le diverse vie ferrate, che si incrociano, destinate all’agevole trasporto del materiale istesso, per le fabbriche costruttivi al ricovero degli impiegati, dei lavoratori e degli artisti, per le macchine, per gli strumenti, per le carrette inservienti al carico. I concerti musicali, ripercorsi dalle vicine valle, davano al suddetto luogo un aspetto grave, imponente, un non so che di poetico e malinconico, e più grave ed imponente lo rendevano le salmodie.
Pensavo, è questa la prima volta dopo il volgere di tanti secoli, che desti paraggi son calpestati da tanta onda di popolo, sono onorate di sacre liturgie, son fatti lieti da note musicali e di tanta esultanza. Chi sa quante generazioni han d’essere vedute sparire, e quante ancor ne verranno.
Terminata la processione a spese della prelodata impresa Fiocca tanto bene rappresentata dall’ Egr. e caro giovane Ing. Angelo CARRELLI, fu aperta a tutti lautissimo  riposto nel quale ben saprei dire se spiccava maggiore la profusione ed il lusso. Vi furono per tutti dolci e confetture squisite di ogni sorte, liquori e vino forestieri di ogni qualità, cioccolate, caffè, caffelatte, geli, sigari, tutto. Fu in prima servito il clero, indi i funzionari pubblici con i notabili, poi la Guardi Nazionale, i Reali Carabinieri, le forze di terra e dio mare, la banda, in ultimo le generalità. Vi fu robba per tutti, se ne buttò, ne rimase, non potevasi né fare né sperare di più. Benedetto il Cantiere tutti gli astanti ripresero imbarco, ed il convoglio mosse verso il luogo indicato dall’ Ing. DREAGONETTI e dal rappresentante l’Impresa sig. CARELLI,  pel butto della prima pietra. La banda Civica, allogata sul vapore di rimorchio ha resa più gaia la festa e la non breve traversata dal Cantiere al Porto. Su questo vapore han preso parte le primarie autorità. Dopo di lui sono state rimorchiate le marielle, ossia le barcaccie destinate al trasporto di materiale, cariche di grossi massi, ed in seguito una infinità di barche, di barchette, di gondole di ogni grandezza.
Su tutti i legni sventolavano bandiere di svariate dimensioni e fogge, su gli alberi, su le antenne, negli ormeggi, sulle prore. Era una vera battaglia navale, una scena, un colpo d’occhio nuovo ed incantevole, uno spettacolo. Quando il vapore diè fuoco alla macchina si salpò al grido di “Viva l’Italia”, “Viva il Re”, “Viva il Porto”, che fu ripetuto da tutti, e dallo stesso eco delle circostanti grotte marine.
Lungo la traversata s’incontra la Città. Quando il Convoglio fu in vista della medesima scena fu commovente tanto che m’intenerii e piansi; né fui solo, che e giovani e adulti e senili li vidi asciugarsi le lagrime.
Il romantico paese che, adagiandosi sulle ultime falde di un erto scoglio riflette nelle placide e tranquille onde del Mediterraneo le sue mille finestre, che inghirlandavano dagli aranci e dai fiori delle sovrastanti colline somiglia a giovine sposa nell’ebrezza della speranza; sotto gli azzurri sereni del suo cielo, in un giorno ridentissimo, presentava la figura di un anfiteatro. I balconi, gli sporti, gli spazi, le strade, i loggiati, il litorale erano gremiti, brulicavano di genti. Milioni di bandiere, di ogni colore, di ogni dimensione, di ogni foggia, sventolavano su tutti i punti, dai tetti, dai campanili, dai balconi, dalle finestre, dalle antenne e dalle merlate del Castello degli Ossun, compendio di una storia di secoli. Donne, giovani, ragazzi, vecchi di ogni età, di ogni condizione, di ogni classe, agitavano bandiere e salutavano con gioia forsennata, frenetica, le navi sottostanti, saluto che veniva ripetuto dallo immenso numero di persone che vi stavano dentro. Chi non si trovò pronto di una bandiera fece uso del fazzoletto bianco, di un pannellino, di un grenbiale. Gli auguri di ogni maniera e gli applausi immensi.
Si plaudì di nuovo al Re, all’Italia, al Porto. Si mandarono saluti a Roma, a Venezia, a Firenze; non furono dimenticate le ombre dei nostri martiri, e molto meno l’Eroe di Caprera. Qui nuovi e maggiori spari di fucili, di mortaretti, e di cannoni, nuovo e maggiore entusiasmo.
Giunti al luogo destinato per butto e per la sommersione della prima pietra, sopra un mare di tavola, che Iddio benedicendo per primo quell’opera desiderio del passato, altissimo bisogno del presente, infrenò, nonché i marosi, perfino le onde, sicchè il mare baciava la sponda, le diverse barche circoscrissero un cerchio ond’essere meglio di osservare la funzione.
Il parroco, assistito sempre dal Clero, impartì allora solennissima benedizione ad un grosso masso, il quale poi adorno di devozioni e di figure, fu subito calato a fondo. Il pubblico voll’essere spettatore della sommersione di tutto il materiale, che ne eseguì immediatamente, epperò si trattenne fino all’ultimo. Non trovo qui le parole per descrivere quel che avvenne, la gioia, la esultanza, l’entusiasmo, la commozione, i voti, gli applausi, gli auguri, le felicitazioni. Per averne una adeguata idea bisognava essere presenti. Il Cielo divenne come annebbiato dal fumo dei fuoco dei cannoni e dei fucili. I gridi di esultanza echeggiavano di nuovo intera lunghezza la marina, dalla Città a Capo Rocchetta. 
Io ero apparecchiato di volgere in quell’istante poche parole al popolo, ed all’uopo le avevo gia appuntate sopra un mezzo foglio di carta; ma vinto da un lato dalla commozione e dall’altra dalle stepiti, non mi fidai di batter le labbra. In questo la natura faceva di se più buona mostra. Il tratto del ridentissimo e verdeggiante appennino, che bagna il piè del mare, che si resta tra Pizzo e Briatico, aveva sulle spalle la popolazione dei paesi vicini, spettatrici di quell’incanto, e spettacolo d’altra parte a coloro che riguardavano dal mare. Non saprei dire se il cielo la vincea sulla terra; e questa sul mare. Il certo si è che, e cielo, e terra, e mare, aggrapparono insieme in un sol punto, tutte le loro bellezze, le loro dovizie, le loro grazie.
Compita la cerimonie, le barche difilarono, ed in bello ordine tornarono alla città fra gli evviva sempre al Magnanimo Re. Lo sbarco è avvenuto alle ore 5 pomeridiane. E quantunque il popolo era rauco e stanco, dacchè quasi l’intera giornata era stato in azione ed in festa, tuttavia i venuti con manifesti segni di applauso e di giubilo.
La Città è ora, come la fu di prima sera, splendidamente illuminata, ed imbandierata. Illuminati, imbandierati, pavesati elegantemente sono tutti i legni della marina. La esultanza è generale ed indescrivibile. Alle ore 7 pomeridiane, io con l’intero Municipio, e con tutte le altre Autorità, uscii dal Palazzo di Città con la Bandiera Nazionale, sacro simbolo di tante pene e di tante speranze, accompagnato da un popolo immenso, festante, e percorsi fino a notti inoltrata il paese, al suono della Banda e circondato da mille fiaccole. Nel momento in cui scrivo, che è il tocco della mezzanotte, continuano fragorosi applausi all’Italia e al Re.

A questa dimostrazione sono stati presenti i sullodati Dragonetti e Carelli, i quali possono testimoniare che parte di essa era diretta a quell’alta intelligenza ch’è il Cav. Giustino Fiocca, intraprenditore dell’opera, ed il cui nome si associa alle grandi imprese che sono in corso in queste Provincie Meridionali.
Fortunato di aver rappresentato il paese in questa fausta circostanza, onore che la mia famiglia ricorderà perpetuamente con orgoglio, siccome sarà perpetua l’opera, di cui si imprese l’impianto, io mi credo nel dovere di rendermi interprete presso il Governo del Re, dei palpiti, della gratitudine, della riconoscenza, dello affetto di questa docilissima popolazione, la quale nell’intera giornata, ad onta del fracasso, mantenne ordine perfettissimo, ed in suo nome mandargli senti, sinceri voti, felicitazioni, ed auguri di più lieto, giocondo e migliore avvenire.
E la stessa riconoscenza, gratitudine ed affetto io mi veggo altresì nel dovere di manifestare, non solo al Ministero, che da oggi opera alacre e solerte a riordinare l’amministrazione dello Stato, ed a schiudere le sorgenti delle ricchezze che copiose a messo nel nostro seno la Provvidenza, e che furono finora trascurate, ma all’ingegnere Capo del Genio Civile di Messina Sig. Schioppa, in quel avendo l’alra direzione di quest’opera con tan tanto senno conduce ed alla stessa Prefettura che affrettò non solo il compimento della medesima, ma oggi strenuamente lavora all’impianto di una banchina nella nostra rada, in continuazione del porto che porrà a suggello allo sviluppo commerciale del Paese e di qui a poco metterà nel rango delle più ricche industriose e cospicue città italiane.
Pizzo 4 Dicembre 1865 - Il Sindaco facente funzioni Filippo Ignazio Malacrinis" 

Documento estratto da "Il porto ritrovato. documenti e atti per la storia del porto di Santa Venere"
di Antonio Montesanti, Ed. Rubbettino, 2012
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